Nato a Trieste, Aldo Famà nel 1982 è stato uno dei fondatori del Gruppo 5, convinto assertore della tendenza astratta nella pittura e nella grafica. Su quella linea è andato maturando una propria riconoscibile posizione nello scenario dell’arte regionale.
L’artista concepisce l’astrazione come il terreno espressivo distante dalla casualità voluta e ricercata fino allo spasimo, perché per lui la pittura è soprattutto rigorosa combinazione di colori e segni dentro un progetto significante che è molto vicino alla poesia. L’artista mira ad un equilibrio formale che in ogni caso mai è puro riferimento esterno, caso mai è realtà d’immagine che in qualche misura si fa speculare al suo stato interno, al cumulo di sensazioni provate a contatto diretto con la realtà e così, nel bilanciamento tra il nero e il bianco, tra la superficie liscia e piana e quella materica e in rilievo, corrono linee costitutive prelevate dalla geometria elementare e arricchite di quel calore che è tipico di chi sa innervare il proprio discorso creativo con il marchio di una sicura originalità. Questo non impedisce di leggere al fondo della cultura di Famà sicuri richiami e punti di riferimento nella storia dell’arte da Spacal a Santomaso che tuttavia sono stati sedimentati e incanalati in una personalissima via di espressione. Nell’opera il bianco ha una funzione testimoniale dell’evento pittorico, così come si configura all’interno di un perimetro dove si segnalano molteplici accenni di tensioni figurali, nonostante l’astrazione sia il dato dominante della creazione.
La pittura vive anche su un impasto corposo che in taluni punti si presenta in rilievo dentro una composizione di grande equilibrio formale.
Il quadro si presenta spesso come una finestra su un brano di paesaggio scavato all’essenza. Qui l’artista va a prelevare i sensi di un respiro, quello della natura indagata con l’occhio di chi sa di trovare uno scrigno pieno di sollecitazioni e suggerimenti per la fantasia costruttiva.