Aldo

Famà

 

il dinamismo della linea

 

 

           

L’ESSENZIALE E POETICA ASTRAZIONE DI ALDO FAMÀ

Coerenza esemplare e rigore formale nel lavoro dell’artista triestino.
Con quel che oggi si vede in giro e che ci viene spacciato per “arte” è davvero rasserenante, e per molti versi stimolante nel giusto riappropriarsi dei concetti e dei termini di confronto in un ambito nel quale regna sovrana la confusione e spessissimo la malafede,  visitare la bella e importante mostra di opere recenti allestita nel salone di rappresentanza e in altri spazi del Palazzo della R.A.S. da Aldo Famà, artista triestino operante con continuità e coerenza da parecchi decenni anche in ambito nazionale ed internazionale.

Famà è un pittore dal passo lento e sicuro, dal fare meditato che non si abbandona espressionisticamente alle pulsioni del momento e che si rifiuta di seguire le varie mode. È un artista che analizza, e perciò pensa, e che elabora una poetica essenziale fatta di poche e sicure cose. I suoi sono ragionamenti che costruiscono forme, che occupano visivamente lo spazio tanto che, nel cercare il paragone adatto, resto incerto se affiancarlo ai filosofi matematici che si affidano alla linea geometrica o ai poeti di stampo costruttivista che mediano tra necessità dinamiche e meditazione sul filo della memoria. L’impianto delle sue opere è coraggiosamente dichiarato, quasi un’apertura annunciata anche se mai banalmente scontata, come nei grandi autori classici di teatro da Shakespeare a Goldoni, da Caledron a Moliére. La dichiarazione d’intento è sostenuta quasi sempre da una divisione dello spazio in due zone e al centro un nucleo materico di ispirazione geologica e talvolta forse archeologica, antichi strati di pietra calcarea percorsi da tracce fossili ma anche da linee e connessioni che testimoniano l’intervento umano. Questo nucleo, attentamente guardato, sezionato, inciso, in ogni caso manipolato con pazienza e delicatezza, viene inglobato e diventa tutt’uno con segmenti di colore che hanno sempre nettissimo andamento geometrico e che diventano linee di fuga fino al margine dell’opera.

Ma alla base del suo fare Aldo Famà non mette solo il calcolo e la tecnica obbediente e preziosa: la sua mano si lascia prendere dalla memoria, dal ricordo di ampi panorami contro il cielo e il mare, da reminescenze che fanno nascere forme allusive, a volte delicatamente aeree e percorse dal vento, ricordo di volo d’uccelli, di aquiloni, di reti stese ad asciugare sui pali infissi nella spiaggia. Un processo di riduzione alla poetica essenziale già trattato, in termini ovviamente diversi, da uno dei grandi di quest’area Luigi Spacal. Talvolta i nuclei rimandano alla materia ambiguamente organica e minerale, a nodosi grumi nei quali si intuisce la difficoltà di molte situazioni esistenziali. E ancora, laddove in special modo il linearismo geometrico supera la nuclearità materica, par di intravedere essenziali planimetrie di antichi porti mediterranei o semplificate prospettive urbane viste da grande altezza.

Su tutto, sempre praticamente, una grande pulizia formale nella quale le campiture di colore puro fanno da piano di raccolta per colori altrettanto puri ai quali l’artista si affida in un contrappunto reso possibile dall’accostamento di toni caldi e freddi alternati in perfetto equilibrio e tensione vibratile: nero e bianco, azzurro e nero, giallo e rosso, grigio ed arancio e così via. Non c’è il rischio, nel guardare questa trentina e più di opere di vario formato, che l’artista cada nella serialità ripetitiva perché egli, incredibilmente, con pochissimi elementi, con una tavolozza che alla fine risulta se si vuole persino limitata, riesce sempre a creare sequenze nuove ed impreviste.

Come nel grande teatro,appunto, dove tutto parrebbe scontato ma non lo è affatto. Un esercizio magistrale che pochi davvero sono in grado di sostenere nella nostra regione.

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